L’Autore propone alcune riflessioni sulle trappole della comunicazione nei tempi dell’emergenza e sulla percezione dei vecchi.


I fatti di questi giorni hanno suscitato in me molte perplessità, che sono spinto a tradurre in parole da condividere.

Nel tempo del coronavirus abbiamo assistito a un susseguirsi di rassicurazioni da parte di molti scienziati e accademici che affermavano con una facilità stupefacente: “non preoccupatevi, le persone che decedono sono per lo più anziani e con pluri-patologie”.

Mi sono interrogato: cosa trasmette questo messaggio, ancora più grave perché veicolato da esperti? In fondo, quest’affermazione viene fatta passare come piena di buonsenso: si sa, gli anziani muoiono e se quest’infezione accelera la loro morte poco male, tanto erano comunque destinati a morire in un tempo non troppo lontano. Non prendiamoci troppo pena per loro, come se la loro non fosse una vita dignitosa e degna di essere vissuta nel modo più pieno possibile, come quella di tutti.

Hanno usato il termine anziano, termine neutro, oggi politicallycorrect. Il termine vecchio è poco usato perché ritenuto negativo e perché tutti “fuggono dalla vecchiaia”. Se ci riflettiamo, la parola vecchio coinvolge invece emozioni e ricordi in ognuno di noi.

Noi non vogliamo bene agli anziani ma ai “nostri vecchi”! Siamo grati a quelli che ci hanno preceduto e ci hanno aiutato ad essere quello che siamo. Vecchi che hanno costellato la nostra vita, vecchi che ci hanno accompagnato, ma anche vecchi conosciuti sui libri che sono diventati per noi “maestri di vita”.

Ci hanno insegnato e permesso di essere quello che siamo oggi; molte volte siamo ricorsi a loro per chiedere qualche consiglio che forse non sarà stato “tecnologicamente congruente” ma certamente capace di dare senso alla vita.

La vecchiaia è un tempo della vita ormai dimenticato e negato. Tempo della vita che spesso si accompagna agli acciacchi, più o meno complessi, ma che mantiene un significato e un senso per chi lo vive e, quasi sempre, anche per chi gli sta vicino.

La vita non finisce nella morte, ma trova il suo compimento e la vecchiaia è il tempo della vita che permette ad ognuno di comprendere e gustare il significato del suo stare al mondo.

Tutta questa complessità e questa pienezza sono quasi cancellate dai discorsi che abbiamo sentito in questi giorni, che presentano l’“anzianità” come se fosse ….un’eccedenza.

Inoltre, c’è un altro aspetto che si rischia di non considerare: qualcuno ha pensato come possa sentirsi oggi un “vecchio” che sente queste affermazioni?

Queste sono informazioni che molti “vecchi” dovranno gestirsi da soli, insieme alle loro  famiglie preoccupate che i loro cari possano infettarsi.

Io non sono un medico, sono un tecnico, ma per la mia lunga esperienza professionale so bene che chi è più fragile e con meno difese immunitarie (e sappiamo che questo può riguardare tutte le età) di fronte alle malattie infettive è più a rischio.

Ma ciò non toglie che tutte queste persone rappresentano vite umane che chiedono di essere curate, rispettate nella loro dignità e la morte di uno di loro non è meno dolorosa di altri.

Ho pensato che la mia breve riflessione possa trovare spazio su Lombardia Sociale perché questo sito negli anni, con le sue intelligenze e il suo cuore, cerca di contribuire a costruire un sistema di servizi e di risposte migliori per tutte le persone fragili: al di là della necessaria competenza tecnica e scientifica, non dimentica che – anzitutto – va onorata la vita di ogni età, anche quella della vecchiaia a cui tutti, se ci è dato, arriveremo.

di Marco Noli

 Fonte: http://www.lombardiasociale.it/2020/03/02/vecchi-riflessioni-a-partire-dal-coronavirus/